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L'angolo della poesia

IN MORTE DI UNA SUOCERA
Distesa su quel letto, innocua e senza vita
parevi ancor più brutta, vigliacca e inaridita.
Se adesso fingo strazio, vecchiaccia infame e avara,
dentro di me sorrido pensando alla tua bara.

Non ho mai sopportato quel tuo falso sorriso
col quale pretendevi d’entrare in paradiso
magari tu speravi di vivere in eterno…
invece io gioisco sapendoti all’inferno.

Laida, antipatica, cattiva e senza cuore
quando la nera falce hai accolto con stupore
la misera tua vita magari hai rammentato
senza pentirti o piangere per quello che hai causato.

Ora ti guardan volti che in vita hai tanto amato
non piangono, ma godono per ciò che gli hai lasciato
fingon tristezza e strazio, attoniti e malfermi
ma pensan che il tuo corpo farà da pasto ai vermi.

Mi par di rivederti sopra la tua poltrona
la forfora, lo scialle e l’aria da matrona
con quel bastone curvo menare di gran lena
chiunque s’accostasse, colpendolo alla schiena.

Non so dove il buon Dante t’avrebbe collocata
in quale orrenda bolgia saresti relegata
forse nel nono cerchio, dove giammai si suda
a faccia in giù nel ghiaccio in compagnia di Giuda.

Nemmen tra i lussuriosi, che nel cerchio secondo
il vento perpetuo agguanta e fa girare in tondo.
Anche Paolo e Francesca, che là potrai incontrare,
son certo, riusciresti a fare litigare.

Che sai tu, essere immondo, d’amore e di lussuria
se tutti al tuo cospetto fuggirono con furia?
Hai sparso a piene mani grigiore e falsità
ed ora spereresti di suscitar pietà?

Nel Flegentonte immersa io ti vorrei vedere
quel rosso fiume colmo di tante anime nere
in cui il sangue bollente la tua carne tormenti
e sazi le mie orecchie di gemiti e lamenti.

Forse la sesta bolgia potrebbe, suocera mia,
fare da patria eterna alla tua ipocrisia
in compagnia di Caifas, Anna e i farisei
unita al piombo e all’oro amato dai giudei.

Ma ora che ti guardo, orrenda e inanimata
sento che da qualcuno sei stata assai bramata:
Lucifero ti aspetta per vivere in eterno
col viso tuo ingrugnito nel fondo del suo inferno.

Vittorio Frau

L'EQUIVOCO


La vidi all'improvviso
quasi al calar del sole
parlava più il suo viso
che non mille parole.

Il tempo a volte vola
e non lo puoi fermare
nessuno ti consola
quando lo lasci andare.

Decisi di parlarle
vedevo il suo tormento
provavo solo a darle
la gioia di un momento

La voce sua tremava
quanti strani pensieri,
la mente a volte è schiava
e i sogni prigionieri.

Negli occhi la guardai
le chiesi se s’offriva
pensavo d’aver guai
ma lei guardò giuliva.

Un attimo, e un sorriso
illuminò il suo volto
di lacrime già intriso
ed io le diedi ascolto.

Qualcosa in lei s’accese
quale luna che appare
le mani mie ella prese
e incominciò a parlare:

“Ti dono il mio tormento
ragazzo dal gran cuore
che hai colto in un momento
il mio immenso dolore.

Quando lui mi ha lasciato
io dentro sono morta
e in lacrime ho giurato
di chiudere una porta.

Ma dentro porto il mare
e schiuma e bianche onde
ho voglia di volare
trovare nuove sponde

Vedendoti ho sentito
il verso d’un gabbiano
un attimo e ho capito
che volerò lontano.

Qual angelo a me ti condusse?
cosa feci per tanto meritare?
Tanta gioia la tua parola addusse
e portommi a un inusual tremare!”

Assai stupito mi trovò quel gran parlare
Bianche onde? Il verso d’un gabbiano?
A volte basta poco per perdersi nel mare
e credere un angelo chi è umano.

Se solo avesse udito
l'apostrofo nascosto
avrebbe ben capito
il quesito da me posto

Della sua sofferenza
a me, anima cattiva,
sfuggì la pura essenza
io non le chiesi: "soffre?", ma solo se S'OFFRIVA!



Vittorio Frau


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